Natural City
di Min Byeong Cheon (2003)
Nel 2080, un poliziotto innamorato di una cyborg in “scadenza”, lotta contro il tempo per salvarla. E’ disposto a tutto, anche a tradire la giustizia. Solo una revisione genetica di un microchip da parte di uno scienziato potrebbe ridare la “vita” all’amata replicante. Pubblicizzato come una versione coreana di Blade Runner (ho meglio, come il suo proseguimento), questo film dal budget stratosferico per il mercato cinematografico orientale, non si avvicina assolutamente alla poesia del capolavoro di Ridley Scott. L’atmosfera melò (la potremmo chiamare techno melodrammatica) è intrigante nei primi minuti, le scenografie industrial-futuristiche di colore rosa-azzurro non sempre affascinanti coinvolgono inizialmente, ma appiattiscono ulteriormente una trama debole alla distanza. L’elemento più interessante è la posizione “di mezzo” che i protagonisti assumono. Un poliziotto disposto a tradire le sue idee per una “ribelle”, persone metà umane e metà macchina, scienziati che violano la giustizia per amore della causa. Il sentimento diventa quindi trasgressione, in quanto al di fuori degli schemi. “Natural city”, ironia della sorte, è un film da vedere sul grande schermo, per la maestosità dell’allestimento, ma non è detto che giustifichi il prezzo del biglietto.
GIUDIZIO: W
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