King Kong
di Peter Jackson (2005)
Un frastuono. Di seguito un altro. Sono i suoi passi. Gli alberi si spostano, alcuni istanti di terrore ed ecco che Kong appare nella sua grandiosità. Il mito della bella e la bestia nella cinematografia si materializza oggi nella figura dell’immenso primate, ricreato per la terza volta dal geniale Peter Jackson, reduce dalla Trilogia dell’Anello, che mette in scena l’avventura nella sua essenza, innalzandola fino al romanticismo e alla poesia. Un regista (Jack Black, ideale l’alter ego di Jackson), un’attrice in erba (Naomi watts) e uno sceneggiatore (Adrien Brody) salpano per una meta misteriosa a bordo di una nave per raggiungere una terra dimenticata dal tempo dove girare un fantomatico film. Un’isola che nasconde indigeni dagli occhi vividi, dinosauri, insetti e il sorprendente gorilla fuori misura. Sopravvivere non è facile in un mondo così lontano. Una magistrale New York anni 30’, omaggio al film del 1933, apre il kolossal dell’anno, che avrebbe potuto essere un semplice remake e che al contrario rischia di essere per il genere avventuroso quello che “Titanic” ha rappresentato per il cinema sentimentale-drammatico. Un compendio di emozioni, capace di ironizzare sul cinema ad alto budget, di fare riferimenti al wrestling (i combattimenti con i T-Rex) e nel contempo a “Via col vento”, di raccontare d’amore alle più alte sfere e di rendere giustizia all’universo animale, elevando King Kong a protagonista assoluto, relegando il “circo” in cui si muove a semplice contorno (salvo la bella Naomi Watts) grazie al suo mostruoso fascino di chi sa come conquistare le folle.
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