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Skin - Fake chemical state
(2006)
Dopo lo strepitoso esordio solista di Fleshwounds torna alla ribalta Skin, già dea ex machina dei compianti Skunk Anansie. E lo fa con un disco ruvido, abrasivo, del tutto differente al precedente, lontano quasi costantemente dalle sue melodie: Fake chemical state ritorna in parte alle origini, al debutto degli S.A., a quel Paranoid and sunburnt che fece gridare tutti al fenomeno. L'iniziale Alone in my room è un singolo sporco, punk rock, decisamente gridato, che deve parecchio agli Stooges di Iggy Pop. Questa strada prosegue anche con la seconda traccia, She's on, con la chitarra iniziale che grida sincopata come nelle composizioni più cacofoniche dei Bush. Ma quello che sembra eseere in tutto e per tutto un album garage rock "subisce" una battuta d'arresto prolungata con Moving on, Just let the sun e Purple: tracce che se non possono proprio definirsi ballads godono di un'impronta melodica molto marcata, facendo debordare in modo straordinario le qualità canore di Skin. I ritmi si rivivacizzano - ma senza avvicinare i confini tracciati dalle prime due tracks - con la batteria jungle della splendida Don't need a reason, per poi rifluttuare verso territori intimisti con Nothing but, il cui video potrebbe seguire la caduta di una foglia d'autunno in balia di un vento a raffiche... cambi di ritmi ed atmosfere davvero suggestivi. Vanno infine a completare il pacchetto di dieci tracce di Fake chemical state tre pezzi che chiudono il cerchio, quasi riassumendo il mood dell'album: un'alternanza di stati d'animo, dettati da un'alterazione chimica, dalla rabbia che monta lentamente di Take me on, all'esplosione di energia artificiale di Fooling yourself ed il finale leggermente depressivo di Falling for you. La voce è sempre quella: il top. La musica forse è un gradino sotto a quella di Fleshwounds... o forse è solo meno immediata e necessita di un secondo ascolto. Skin Anansie!
GIUDIZIO: WW 1/2
Perfetto per una versione moderna del capolavoro tossicodipendente degli anni novanta: Trainspotting di Danny Boyle.
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Filippo Nembrini
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