Pearl Jam - Pearl Jam
(2006)
Quattro anni di silenzio dopo due album - dal mio punto di vista - non proprio esaltanti come il discreto Binaural e il sufficiente Riot Act ci riportano dei Pearl Jam rigenerati, strepitosi, di nuovo vetta del panorama rock mondiale. Eddie Vedder e soci sono cresciuti, invecchiati come un buon vino rosso se volete, e si sente!!! Questo Pearl Jam è un disco corposo, maturo, complesso: esplode nelle orecchie in una varietà incredibile di bouquet che non possono che deliziare, inebriare... ci si può ubriacare di queste 13 tracce, abusandone, e - come accade per i vini eccezionali - risvegliarsi senza un filo di mal di testa. I testi delle composizioni di Vedder rivelano ancora una volta l'anima di un grande poeta impegnato nel sociale, nella battaglia che con i suoi compagni di viaggio combatte da un ventennio: tagliare le mani al potere corrotto che riempie le tasche di pochi disonesti e vuota di energia le vene dell'uomo della strada. Si parte con Life wasted, fuoriosa cavalcata antidepressiva, violento inno alla vita ed alla sua bellezza. Ecco poi arrivare il primo singolo tratto dall'album, World wide suicide, disperato canto funebre per i caduti di questa - ma in effetti di tutte - feroce guerra che si sta combattendo... una vera martellata in testa a Bush: "Medals on a wooden mantle/Next to a handsome face/That the president took for granted/Writing checks that others pay". Con Comatose sembra di balzare indietro al tempo di Vitalogy, alla scarica furiosa di rabbia di Not for you: due minuti abbondanti di puro punk in stile PJ. Dopo Severed hand, viaggio psichedelico verso casa, ecco arrivare un pezzo da brividi, qualcosa capace di creare le stesse atmosfere di un capolavoro quale Given to fly: sto parlando della giganteggiante Marker in the sand... rara bellezza! A farci tornare dolcemente sulla terra ci pensa il placido dondolio di Parachutes, pezzo di beatlesiana memoria, ma subito si riparte con Unemployable che sembra quasi una canzone dei Kiss resa un diamante dai PJ - come succede ogni volta che si cimentano in cover dal vivo, come con la splendida The kids are all right degli Who. Una certa surf-attitude già palesata episodicamente in passato dal quintetto di Seattle torna a sbraitare amore per l'oceano nella bella Big wave; la morte dell'American Dream permea l'intima Gone, fuga dal circolo vizioso lavoro-soldi-infelicità che come un virus ha contagiato il mondo occidentale. Dopo il minuto scarso di Wasted reprise - che riprende il ritornello dell'opening track con accompagnamento d'organo, come se fossimo in chiesa, ad un funerale - parte Army reserve, dedicata ai riservisti richiamati per fare da carne da macello in Iraq... spiazza l'accordo iniziale di chitarra, che ricorda vagamente Ordinary world dei Duran Duran (!!!), convince e fa innamorare di sè il resto di questa bellissima canzone. Siamo alla chiusura, purtroppo, ma non disperate: Come back è in assoluto una delle più belle, commoventi e coinvolgenti bluesy ballads di tutta la carriera dei PJ! Alla pari della conclusiva Inside job, anche se può sembrare incredibile... WOW!
GIUDIZIO: WWW
Se Wim Wenders ha nel cassetto un nuovo capolavoro, i Pearl Jam con questo album lo hanno già messo in musica!!!
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