Robocop
di José Padilha (2014)
Nel 1987 la fantasia di Paul Verhoeven creava un giustiziere impersonale, infallibile e diventato un’icona del cinema e non solo. E, come altri cult, anche Robocop non è riuscito a evitare una “nuova visione” (Padilha, infatti, ha sottolineato a più riprese che il suo non è un reboot, ma una personale interpretazione adeguata ai tempi…). Il poliziotto umano si chiama sempre Alex Murphy, ma – rispetto al predecessore – mantiene anche nella versione robotizzata il contatto con la famiglia (la moglie ha le fattezze di Abbie Cornish e il figlio del giovanissimo John Paul Ruttan già visto in Una spia non basta). La storia è simile, ovviamente. A Detroit la multinazionale OmniCorp, specializzata in robot per il mantenimento dell’ordine, cerca il modo per vendere anche negli Stati Uniti questi prodotti. Il Congresso, infatti, ha approvato una legge che vieta di utilizzare gli automi nel territorio statunitense, anche se essi sono comunemente usati nelle missioni all’estero. L’occasione per raggirare la legge viene servita al top management su un vassoio d’argento quando il poliziotto Murphy, impegnato in una delicata indagine antidroga, viene ferito mortalmente in un attentato. Grazie agli studi del medico Norton (Gary Oldman) e ai pochi scrupoli del capo della OmniCorp (un redivivo Michael Keaton), Murphy viene salvato, ma “impacchettato” in un’armatura tecnologica e quasi inattaccabile. Rispetto al 1987, l’armatura è diventata nera, più aderente e sinuosa; il casco si può aprire – cosa che Murphy fa, per esempio, quando si confronta con la famiglia o con il suo collega – e la pistola è stata rivista e ridisegnata apposta per il film. Il nuovo Murphy è Joel Kinnaman, trentaquattrenne gigante di origini danesi conosciuto per la serie televisiva The Killing. E non manca un anchorman che ha il volto – e la pettinatura sui generis – di Samuel L. Jackson. L’opera di Padilha è meno peggio di quanto previsto. Buoni gli effetti speciali, buona la recitazione e la storia. Tuttavia, è profondamente americana dall’inizio alla fine. Come non notare il trattamento riservato agli iraniani (gli automi controllori pattugliano Teheran, perché l’Iran non diventi il nuovo Iraq!) e la chiosa di chiusura? E, poi, i cult dovrebbero rimanere unici: difficilmente reboot e rifacimenti sono in grado di competere (unica eccezione finora gli ultimi due film della trilogia del Batman di Nolan…).
GIUDIZIO: 1/2 W
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